Missione Vocazionale

Il Signore dal male fa nascere il bene

Don Carlo Giorgi, milanese, ordinato diacono lo scorso 5 ottobre in Duomo, si è formato presso il Seminario Redemptoris Mater di Beirut e diventerà prete il prossimo 3 maggio.
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In Avvento la comunità del Seminario ha deciso di destinare le offerte raccolte con le varie iniziative di carità proprio al Seminario di Beirut. Per questo abbiamo chiesto a don Carlo una testimonianza sulla situazione attuale.

Come è andato il rientro in Libano?
Sono rientrato in Libano il 16 ottobre e, fino al 28 novembre, la guerra non si è interrotta. Qui a Beirut eravamo abbastanza tranquilli sul fatto di non essere colpiti. La politica di Israele è stata molto mirata nel bombardare il vicino quartiere degli sciiti (musulmani); sentivamo la guerra molto vicina e sentivamo molto bene i bombardamenti. I droni israeliani erano quasi sempre a colpo sicuro. Non abbiamo mai veramente rischiato la vita, però si è comunque in un Paese in cui avvengono bombardamenti. Magari bombardano durante l’Eucaristia e si sente; certo è inquietante, ma sai che non capita a te e questa è la grande differenza.

Quali incarichi ha ricevuto da diacono?
Ora mi trovo in Seminario, però il Vescovo, prima di Natale, vuole darmi una stanza in Vescovado dove andrò a vivere. Appena avranno terminato i lavori, mi stabilirò lì e tornerò in Seminario due giorni a settimana.
È cominciato il periodo diaconale e ho ricevuto dal Vescovo molti incarichi e lavoro. Mi sono inserito nella vita della Diocesi di Beirut, sono segretario del Consiglio presbiterale, ho incarichi burocratici di cancelleria e svolgo il mio servizio pastorale con gli stranieri e questo mi piace molto, devo parlare in lingua inglese.

Come percepisce la situazione in Libano, dopo il cessate il fuoco dello scorso 28 novembre?
La situazione dopo il 28 novembre è decisamente più tranquilla, il cessate il fuoco ha cambiato tante cose. Israele non bombarda più, ogni tanto capita ancora di vedere qualche loro drone sorvolare la città e significa che stanno controllando e potrebbe esserci ancora qualche rischio, ma non è più successo niente da queste parti. Nel sud del Libano invece ci sono ancora bombardamenti. Qui a Beirut la vita è ripresa e tutti i profughi ospitati in città, che avevano riempito scuole, parrocchie, strade e parchi pubblici, in un paio di giorni sono tornati a casa. Non ci sembra vero, siamo molto tranquillizzati. Le cose stanno andando bene e si vedono tanti segni di speranza. In questo periodo siamo stati tutti coinvolti nell’aiuto per l’accoglienza. Nella parrocchia, dove svolgo il servizio pastorale, abbiamo ospitato un centinaio di migranti sfollati. Spesso si trattava di gente che lavorava al sud, immigrati con lavori umili, nelle case, oppure contadini che, per via dei bombardamenti, hanno perso tutto e sono venuti a nord. C’erano soprattutto africani, tanti sudanesi che, a causa della guerra civile nel loro Paese, sono arrivati e rimasti qua per anni, poiché il Libano non chiedeva nessun visto.

Ci sono state occasioni di relazione con le persone accolte?
È stato interessante accoglierli, erano veramente poveri, poiché hanno perso tutto. È stato molto arricchente, ho dato qualche lezione di inglese a qualcuno che voleva impararlo, ho insegnato parole e frasi. Questo appuntamento è stato bello, si è creato un rapporto, una relazione di fiducia con i musulmani, che comunque hanno meno propensione alla relazione con un cristiano. Quando sono ripartiti, mi hanno salutato e abbracciato. In questo senso abbiamo visto molti miracoli di relazioni, di familiarità, di amicizie che sono nate, prima inimmaginabili.
Vi sono, ad esempio, alcuni cristiani che ospitano profughi sciiti in una scuola di suore di Beirut, una scuola importante della città. Hanno fatto una evangelizzazione fenomenale, stringendo relazioni di amicizia. Tanti sciiti non avevano mai visto una suora in vita loro e hanno posto domande sulla preghiera e il velo. La guerra è stata un disastro, ma il Signore dal male tira fuori il bene, i muri di diffidenza sono stati distrutti, infranti. Questi sono i frutti dello Spirito Santo, la presenza del Signore nei contesti più difficili c’era.

E segni di speranza?
Nella parrocchia dei migranti, molti stranieri poveri non hanno l’automobile e prendono autobus sgangherati. Padre Daniel, un gesuita americano, li aspettava la domenica e venivano in trecento o quattrocento persone. Il gesuita li invitava a non venire in parrocchia, per non mettere a rischio la loro vita, se si fossero resi conto che la situazione non era sicura per prendere il bus e attraversare zone musulmane. Hanno risposto che per loro il posto più sicuro era la Chiesa e il loro numero non è mai diminuito: un segno bellissimo! Le offerte di questi poveri sono raddoppiate in questo periodo di guerra. Sapevano che quei soldi andavano a coprire in parte le necessità dei musulmani. Nella situazione più drammatica abbiamo avuto segni di speranza enormi. Hanno avuto fede, hanno dato più soldi, per aiutare di più. È stato bellissimo!

La politica in Libano sta conoscendo evoluzioni, in seguito alla fine della guerra?
In generale, in Medioriente, tutto si sta muovendo molto velocemente, anche il regime siriano è caduto in una settimana e nessuno può prevedere cosa succederà. La grande cosa è che possiamo stare tranquilli. Speriamo che in Siria le cose si stabilizzino e si continui a ragionare per vivere tranquilli.
Hezbollah (fazione politica e musulmana sciita) si è molto indebolito, Israele ha fatto un’azione militare molto mirata a eliminare i suoi capi, i loro sistemi informativi, i loro arsenali militari.
Il bilancio è di quattromila morti, in gran parte militari e gerarchia, ma purtroppo anche civili. Interi villaggi con depositi militari sono stati rasi al suolo. È cambiato questo nell’equilibrio del Paese: Hezbollah non può più condizionare tutti.
Adesso forse riusciranno a eleggere il Presidente della Repubblica del Libano. Stanno discutendo di riunire il Parlamento per eleggere il Presidente e il primo incontro sarà il 9 gennaio. Sarebbe già un grande punto di ripartenza per questo Paese. Bisogna guarire le ferite, le scuole sono state chiuse per due mesi, hanno riaperto da poche settimane. Deve riprendere un po’ di normalità. Essendo caduto Assad, in Siria sono stati liberati i prigionieri politici, si parla di alcuni libanesi arrestati più di trent’anni fa e ora tornati in Libano.

Tratto dal numero 1 (Gennaio 2025) di “Fiaccola”